Non è un Filosofo X Vecchi: l’Anno Marxiano ad Arezzo

 

DI ELENA ANNIBALI

Con due affollati appuntamenti dedicati a Karl Marx, questo novembre ad Arezzo si è festeggiato “l’anno Marxiano” o, più moderatamente, i 200 anni dalla nascita del noto filosofo tedesco, e le iniziative non sono ancora finite.
Grazie all’attività dell’Associazione Pepe Mujica, realtà nata dall’impegno dello storico gruppo locale di Lotta Continua che ha aggregato negli ultimi anni molte persone desiderose di partecipare ad attività culturali libere dal condizionamento del contingente e dalle tessere di partito, lo scorso 9 e 22 novembre questa sonnolenta cittadina di provincia ha accolto Enrico Donaggio, Peter Kammerer e Camilla Morelli.
“Non è un filosofo x vecchi!”, questo il titolo della rassegna, sottolinea la volontà di esplorare Marx in maniera non convenzionale, concentrando il dibattito sugli scritti giovanili del filosofo ma anche sulla freschezza del suo pensiero, liberato da un lato dal dal revisionismo di destra, dall’altro dall’ortodossia nostalgica di sinistra e da un approccio fideistico che uccide il concetto stesso di “pensiero filosofico”.
L’intervento di Enrico Donaggio e Peter Kammerer, noti studiosi rispettivamente provenienti dalle Università di Torino e Urbino e freschi del recente lavoro di traduzione congiunta dei Manoscritti Economico-Filosofici, diverte e rende attenta e partecipativa una folta platea, “soprattutto se la paragoniamo ad altre presentazioni di libri che abbiamo ospitato!” – commentano i ragazzi della Feltrinelli che ospita l’iniziativa, dove il libro è andato subito esaurito.
Peter Kammerer racconta che lui e Donaggio hanno scelto di tradurre ex novo gli scritti prodotti dal filosofo negli anni dal 1844 al 1848, quando Marx aveva tra 26 e 30 anni e scopriva per la prima volta l’economia politica ed il socialismo, perché sono “gli anni migliori, i più brillanti, culminati con il Manifesto del Partito Comunista del 1848 e ricchissimi di frammenti manoscritti, difficili da decifrare, ma portatori di un cocktail di idee che ancora oggi danno vita ad una ricetta di enorme attualità”.

Le nuove traduzioni italiane sono molto interessanti anche perché, a differenza di quelle risalenti a molti decenni fa e ancora in commercio, sono basate sulla versione più recente e scientificamente verificata degli originali di Marx. Così, il Professor Kammerer ha ricordato che alcune modifiche all’interpretazione classica vengono oggi alla luce grazie non solo alla traduzione diretta dagli originali, ma anche al crollo di un sistema fideistico di approccio al marxismo, che, fin dagli albori dell’Unione Sovietica, aveva visto trattare queste opere come veri e propri vangeli apocrifi, tenuti lontani da un pubblico ignorante (i Manoscritti furono scoperti solo negli anni ’30 del Novecento da David Rjazanov,  che fu poi fatto fucilare da Stalin) e interpretati spesso in maniera tendenziosa: Kammerer parla addirittura dello snaturamento dei testi dovuto al fraintendimento di alcuni lessemi, ad esempio quando i traduttori hanno preferito la parola “bisogno” a “desiderio”, diminuendo la violenta carica fisica, corporea del pensiero di Marx, il quale dichiara persino che “il lavoro che realizza l’essenza dell’uomo è godimento e amore”.

Secondo Peter Kammerer, Marx non è solo uno scienziato, ma anche un’artista (quantomeno rispetto al Capitale, un’opera compiuta e a sé stante), che cerca, anche in quest’ottica, di rispondere all’eterna domanda: “Che cos’è l’uomo?” contrapponendosi alle spiegazioni religiose. Per questo, i concetti utilizzati da Marx per sviscerare il quesito dei quesiti vanno prima capiti e poi contestualizzati, mai viceversa: questa deve essere l’ottica della missione che ci presenta davanti questo importante bicentenario.

Ma che cosa c’è di attualizzabile in quel giovane Karl? E perché la cultura socio-economica oggi dominante non ne potrebbe comprenderne, figuriamoci sostenere, le basi stesse?
Enrico Donaggio risponde agilmente a queste domande, riprendendo cinque dei punti fondanti della costruzione teorica marxista:
1. La critica: cosa c’è di (apparentemente) più anacronistico al giorno d’oggi se non l’avere la presunzione di possedere la verità, la convinzione che non solo si debba ma soprattutto che si possa cambiare il mondo? In una realtà liquida, impalpabile, dove il nichilismo e l’egoismo imperano, la critica di Marx appare lucida e violenta. Si chiede Donaggio: “La maggior parte delle persone, oggi, se in buona fede, potrebbe abbracciare un messaggio così provocatorio?”.
2. La liberazione e l’emancipazione: il modello a cui ci riferiamo ancora oggi quando parliamo di emancipazione è quello dell’affermazione illuministica dei diritti civili. Ci affanniamo (giustamente!) per conquistare e difendere i diritti delle donne, delle persone lgbtqi*, dei migranti, ma abbiamo perso di vista ciò che, in ottica Marxista, è il presupposto di questo tipo di diritti: senza l’emancipazione sociale, quella civile è davvero poco raggiungibile o quantomeno effimera. Insomma, converrebbe ricordarci in questi tempi di crisi che, perché ci sia una vera liberazione, la realizzazione dell’uguaglianza economica dovrebbe andare di pari passo con l’affermazione dell’uguaglianza civile e politica.
3. L’individuazione di un soggetto dell’emancipazione: secondo Marx, c’è qualcuno di molto preciso che dovrà liberare tutti e quel soggetto è la classe degli “Uomini che lavorano soltanto”. Sono pochissimi quei politici o pensatori che individuano nel povero il soggetto rivoluzionario del futuro: chi oggi guarda un migrante e pensa che tra trenta o quaranta anni sarà lui a fare “la rivoluzione” per tutti noi? Ancora oggi, il messaggio che un gruppo sociale, liberando sé stesso, faccia progredire l’intera umanità, rimane un antidoto fortissimo alla guerra tra poveri che i dirigenti politici hanno dimenticato da molto tempo.
4. L’idea che non si debba sostituire una classe dominante con un’altra: Il proletario, secondo Marx, nell’intraprendere il percorso verso la liberazione, non ha alcun interesse materiale da difendere. L’unica arma della quale anche nella contemporaneità dovremmo disporre per difenderci dal capitale è il lavoro. La maggior parte dei filosofi ha invece da sempre guardato al lavoro come a “una roba da schiavi”, così dice Donaggio. Marx è il primo a nobilitare il lavoro e soprattutto i lavoratori, che, con l’arma dell’astensione, possono combattere il sistema produttivo. Oggi, oltre alle difficoltà dei corpi intermedi ad organizzare la lotta, il concetto di conflittualità sociale su basi economiche appare antitetico rispetto alla visione occidentale e dominante secondo cui l’operatore di call center Mario Rossi e Steve Jobs starebbero sulla stessa barca, alla ricerca di un bene comune e di una supposta e non ben precisata armonia sociale.
5. La fede nel futuro: viviamo in un’epoca di presentismo assoluto dovuto al liberismo imperante, un sentire comune che si sta trasformando addirittura in passatismo disperato, regredendo fino ai recenti rigurgiti nazionalisti e fascisti occidentali. Oggi, Marx sembra così lontano, ma allo stesso tempo così necessario: la sua fede nel progresso e nella lotta è la speranza sociale di cui ci dovremmo riappropriare, per ricominciare a dire forte “il tempo della storia soffia dalla nostra parte!”.

C’è però un punto fondamentale da esplorare più a fondo. Se esiste una lettura alternativa rispetto al pensiero capitalistico, se è vero che dobbiamo riappropriarci della provocazione filosofica di Marx – esiste un’altra narrazione ed è nostro compito scrivere una storia radicalmente diversa – è altrettanto vero che, come abbiamo già visto, è difficilissimo credere nella possibilità di un modello alternativo di sviluppo economico, libero da gerarchie proprietarie.

A questo proposito, illuminante è stato il dialogo con Camilla Morelli, giovane antropologa dell’Università di Bristol intervenuta sul tema della “mercificazione degli spiriti”. La Morelli utilizza un approccio marxista per raccontarci la sua ricerca sul campo, presso la comunità dei Mexes, popolazione amazzonica rimasta isolata dal resto del mondo fino agli Anni Settanta e tutt’ora alle prese con l’introduzione di un sistema economico capitalistico all’interno di una società fino a pochi anni fa libera dalla proprietà privata, dal denaro, dalla suddivisione del tempo in ore-lavoro, e basata sulla sussistenza e sull’economia di condivisione, cioè su un sistema di obbligazioni reciproche per le quali “tutti hanno il diritto di chiedere” e “rifiutarsi di dare è considerato un abominio”.
La fotografia della situazione risulta impietosa: i Mexes, oggi più di ieri e specialmente i giovanissimi, imparano molto velocemente a trasformare la propria metafisica del tempo, passando da un approccio qualitativo ad uno quantitativo. Ad un popolo fino a ieri privo persino di una parola per definire la “natura” rispetto all’uomo (concetto occidentale, dettato dalla necessità di ricondurre a leggi scientifiche i fenomeni, onde poterli controllare) basta un semplice tatuatore californiano interessato all’inchiostro prodotto dalla loro pianta sacra per smettere gradualmente di considerare come esseri a sé le risorse naturali, trasformandole in merci quantificabili. La creazione di un concetto di valore legato al lavoro e al denaro, depersonalizzato, insinua in questa comunità “vergine”, sotto gli occhi vigili della ricercatrice, rapporti materiali tra le persone e rapporti sociali tra le cose, cioè le cose diventano qualcosa di separato dalla persona che le ha create. La conflittualità tra generazioni cresce e oggi, fin da piccoli, i Mexes aspirano a trasferirsi nelle favelas delle città (una bambina dice alla Morelli, senza averlo mai visto se non nei film che proiettano una volta al mese nel villaggio vicino, “Ho fame di cemento”), ritrovandosi volontariamente in condizioni di estrema povertà e indigenza. Perché, allora, i Mexes stanno al gioco? Perché, nonostante il danno visibile alla loro collettività, questa storia non ha e non avrà mai un finale escatologico?
A rispondere è in questo caso Gramsci. C’è un elemento fondamentale da tenere in considerazione: il consenso. Non è un caso che i missionari arrivati negli Anni Settanta in questo angolo di mondo, per prima cosa, oltre a introdurre il denaro, istruiscono l’1% della popolazione a diventare insegnanti e fondano delle scuole.
Quello a cui si assiste, giorno dopo giorno, è la sostituzione di una visione culturale egemonica con un’altra. Quello che si apprende, per contro, è l’importanza che questa visione egemonica abbia nel creare i bisogni e desideri che instradano la volontà.
Che fare? Come resistere? Non c’è modo, in apparenza, e forse non è nemmeno giusto farlo. È lo stesso Marx a dire che l’uomo produce sé stesso attraverso il lavoro: le persone cambiano e hanno il diritto di cambiare. Siamo prodotti e produttori delle nostre visioni e, ogni tipo di sistema economico, tutte le cose che a noi possono parere naturali, compreso il senso del gusto o della vista, sono in realtà il frutto di una costruzione culturale, anche il sistema socio-economico dei Mexes prima dell’arrivo del capitalismo.
Le domande da porci, prima ancora del “che fare?”, sono quindi altre, ben più pungenti e attuali: fino a che punto siamo schiavi dell’ambiente sociale e culturale al quale apparteniamo? Chi, oggi, ha la vera libertà di cambiare sé stesso e il suo ambiente? Chi determina cosa devono percepire i nostri sensi? In definitiva, chi possiede i mezzi di produzione e quali sono, ad oggi, questi mezzi?
Ma ecco che la stessa Morelli apre uno spiraglio alla speranza, sottolineando che, se il “progresso” dei Mexes verso l’economia capitalistica pare inarrestabile nel breve e medio periodo, quello che si può fare è salvaguardare nei giovani la conoscenza, la consapevolezza della validità della propria cultura socio-economica di provenienza. Alcuni già dalle Favelas vogliono tornare a casa. Altri, da lei intervistati, sostengono che l’essere indigeni rimarrà sempre parte del loro bagaglio e del modo in cui si approcceranno al sistema esterno. È quindi questa riappropriazione e conservazione della propria identità una possibilità di futuro riscatto? Saranno anche loro soggetti rivoluzionari del domani?